Fine di Castro

Cuba entra nell’era democratica

Fidel Castro era morto politicamente almeno dal 1989, quando caduto il muro di Berlino e avviata la disgregazione dell’Unione sovietica, l’ultimo satellite del socialismo reale, si trovava sperduto in un’ isola del mare dei Caraibi. Le condizioni eccezionali, il mix di bastone e carota con cui Fidel ha tenuto in mano Cuba dalla caduta di Batista in avanti, gli errori statunitensi, hanno consentito una sopravvivenza ad un regime sempre più sul filo del rasoio, incapace di vere concessioni democratiche e nello stesso tempo estenuato dal non riuscirne a dare. Il passaggio dei poteri al fratello Raul, al di là dei problemi di salute, era il segno di un processo di trasformazione oramai avviato, per quanto si cercasse di salvare la faccia alle ragioni della rivoluzione socialista. Il bello di questa ultima avventurosa vicenda consumata sul mar dei Sargassi è che Fidel non era nemmeno marxista. La sorella lo descriverà sempre come un giovane liberale moderato ed educato dai gesuiti, a dimostrare di come la necessità possa fare virtù, e la virtù generare dei mostri. Marxista era invece il medico argentino Ernesto Guevara, talmente ortodosso da poter sfidare la real politik sovietica. Fidel lo lascerà morire in un’impresa senza speranza e senza soccorsi. Il fatto stesso che la rivoluzione sudamericana potesse solo essere sopportata e male nello stretto perimetro delle acque cubane dice molto di quella esperienza, Il Cile socialista di Allende ne pagò subito le conseguenze. Era una tragica vicissitudine per Castro dover ammettere il suo isolamento, ma qui si vedono le sue doti di adattamento, da rendere una sconfitta evidente una condizione di solitario splendore. Quello splendore si è via via sempre più offuscato ed è il caso di dirlo, finalmente, si è spento. Ora c’è la speranza che Cuba rientri nel nuovo secolo, dove non ci sia bisogno di una tessera di partito e un attestato di fedeltà al regime, per avere un lavoro o assistenza medica.

Roma, 26 novembre 2016